La prestigiosa Tate Modern di Londra dedica una grande retrospettiva a Damien Hirst, il più celebre degli Young British Artists lanciati alla fine degli anni 80 da Charles Saatchi (contitolare di un prestigioso studio pubblicitario, collezionista e gallerista).
Damien Hirst riesce
sempre a far parlare di sé: e dopo gli squali e i vitelli in
formaldeide e il famoso teschio tempestato di diamanti e poco prima
della grande mostra alla Tate (i tempi non credo siano casuali...) ha
esposto, contemporaneamente in tutte le undici gallerie di Larry
Gagosian disseminate per il mondo, la serie completa dei suoi Spot
Paintings,
realizzati dal 1986 al 2011 ed eseguiti materialmente da un folto
stuolo di collaboratori. Robert
Storr, critico ed artista, rettore della Yale School of Art e
Direttore dell'esposizione d'arte della 52a Biennale di Venezia nel
2007, è stato categorico: si tratterebbe di dipinti che "senza
alcuna finezza pittorica ripetono su sfondo bianco opaco dei dischi
da catalogo di colori -solo un pallido ricordo delle complesse reti
policrome di Ellsworth Kelly, Gerhard Richter e altri modernisti
[...] non
hanno in realtà nulla a che fare con l'arte, a nessun livello. Hanno
però molto a che fare con il tentativo di attrarre clienti pieni di
soldi che non riescono a trovare strumenti finanziari interessanti
per parcheggiare o investire rapidamente il loro denaro. Offrendone
la serie completa, Hirst ha dato ai suoi Spot
Paintings il
carattere di arte industriale certificata, di un'emissione di azioni
relativamente limitate e prontamente negoziabili, redimibili presso
la Banca Gagosian, ben accolte dalle case d'asta in tutto il mondo".
In definitiva un esempio lampante della fagocitante
finanziarizzazione dell'economia a tal punto ramificata da poter
parlare ormai di "finanziarizzazione dell'arte".
Nessun commento:
Posta un commento