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giovedì 5 aprile 2012

Il sasso nello stagno (III). Damien Hirst e il pallino dell'arte

La prestigiosa Tate Modern di Londra dedica una grande retrospettiva a Damien Hirst, il più celebre degli Young British Artists lanciati alla fine degli anni 80 da Charles Saatchi (contitolare di un prestigioso studio pubblicitario, collezionista e gallerista).

 
Damien Hirst riesce sempre a far parlare di sé: e dopo gli squali e i vitelli in formaldeide e il famoso teschio tempestato di diamanti e poco prima della grande mostra alla Tate (i tempi non credo siano casuali...) ha esposto, contemporaneamente in tutte le undici gallerie di Larry Gagosian disseminate per il mondo, la serie completa dei suoi Spot Paintings, realizzati dal 1986 al 2011 ed eseguiti materialmente da un folto stuolo di collaboratori. Robert Storr, critico ed artista, rettore della Yale School of Art e Direttore dell'esposizione d'arte della 52a Biennale di Venezia nel 2007, è stato categorico: si tratterebbe di dipinti che "senza alcuna finezza pittorica ripetono su sfondo bianco opaco dei dischi da catalogo di colori -solo un pallido ricordo delle complesse reti policrome di Ellsworth Kelly, Gerhard Richter e altri modernisti [...] non hanno in realtà nulla a che fare con l'arte, a nessun livello. Hanno però molto a che fare con il tentativo di attrarre clienti pieni di soldi che non riescono a trovare strumenti finanziari interessanti per parcheggiare o investire rapidamente il loro denaro. Offrendone la serie completa, Hirst ha dato ai suoi Spot Paintings il carattere di arte industriale certificata, di un'emissione di azioni relativamente limitate e prontamente negoziabili, redimibili presso la Banca Gagosian, ben accolte dalle case d'asta in tutto il mondo". In definitiva un esempio lampante della fagocitante finanziarizzazione dell'economia a tal punto ramificata da poter parlare ormai di "finanziarizzazione dell'arte".

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