il blog di Manlio Onorato

Il blog di Manlio Onorato ... immagini, pensieri, divagazioni

domenica 26 agosto 2012

A rischio la sopravvivenza dell'istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli

L'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli rischia la chiusura; già è iniziato il trasferimento dell'immensa biblioteca con rare edizioni di Giambattista Vico e Benedetto Croce in un deposito a Casoria (Corriere della Sera del 24.8.2012). "Ormai non possiamo più pagare gli stipendi ai dipendenti e, se i creditori continueranno a premere, l' Istituto non arriverà a Natale" ha dichiarato il fondatore e presidente Gerardo Marotta. Una incredibile sequenza di inadempienze, promesse di una nuova sede mai realizzata, intoppi burocratici e tagli ai contributi di Stato e Regione sta portando al collasso l'istituto che -si legge in un'inchiesta dell'Unesco- "ha conquistato una dimensione che non trova termini di paragone nel mondo: organizza corsi dappertutto in Europa, pubblica opere in sei lingue antiche e moderne e contribuisce a fare di Napoli una vera capitale culturale". La lista dei protagonisti della cultura mondiale che si sono avvicendati in seminari e conferenze organizzati dall'istituto è impressionante: da Ilya Prigogine a Renato Dulbecco, da Karl Popper a Hans Georg Gadamer, da Jean Starobinski a George Steiner, per citare solo qualche nome. "Un giorno gli si darà ragione" ha scritto Jacques Derrida in una plaquette pubblicata  in occasione della laurea honoris causa concessa al presidente dell' Istituto dall' Università di Paris III Sorbonne "e si comprenderà che Marotta ha visto molto lontano e con grande anticipo".  Sul Corriere della Sera si legge anche della proposta di Marc Fumaroli di nominare Marotta senatore a vita: lo meriterebbe certamente molto più di altri. Condivido infine in pieno l'affermazione di  Yves Hersant, direttore del Centro Europa dell' École des hautes études en sciences sociales di Parigi: "Non è concepibile veder morire l' Istituto e la sua importante biblioteca che non sono solo patrimonio italiano ma di tutta l' Europa".
 
 

mercoledì 22 agosto 2012

Arrigo Levi: non chiamiamola più "particella di Dio"

Arrigo Levi
The Goddam particle (la particella maledetta): così il Premio Nobel Leon Lederman aveva scherzosamente definito in un suo libro il bosone di Higgs, la misteriosa entità ipotizzata da Peter Higgs nel 1964 ma di cui non si riusciva a dimostrare l'esistenza e sulla quale tuttavia sempre più numerosi i fisici -dopo le iniziali perplessità- erano pronti a scommettere. L'editore cambiò il titolo, sostituendo God a Goddam, conferendo un'alone di sacralità a quella che ormai sarebbe stata abitualmente denominata La particella di Dio. Ce lo ricorda Arrigo Levi in un elzeviro pubblicato oggi sul Corriere della Sera a qualche settimana dall'esito del clamoroso esperimento al CERN di Ginevra che lo ha finalmente "catturato" (non sono passati neppure due mesi, ma già si è sensibilmente attenuata l'eco mediatica). Condivido in pieno il giudizio di Levi: il bosone con "straordinaria storia del millenario dialogo tra l'uomo e Dio sul pianeta Terra non c'entra proprio per nulla". Sottoscrivo quindi l'invito ad abbandonare la fuorviante denominazione di particella di Dio e la conclusione dell'articolo: "La scienza faccia la sua parte, e lasci che la nostra intensa riflessione sulle sorti dell'umanità, e su Dio, faccia la sua".



venerdì 10 agosto 2012

Che fine ha fatto l'opera d'arte?

un'installazione a Documenta 13 - Kassel 2012
Con un elzeviro pubblicato ieri sul Corriere della Sera Danilo Eccher, attuale direttore della Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, stigmatizza il fenomeno della "sparizione dell'opera d'arte", prendendo spunto dall'attuale edizione di Documenta Kassel.  Tali rassegne internazionali,  ormai numerose, di fatto non conservano più il compito originario, ereditato dalle grandi esposizioni di fine ottocento e vitale ancora fino a qualche decennio fa,  "di raccogliere le «novità dell’arte», presentare le sorprese dei nuovi linguaggi, svelare prospettive inattese e stupefacenti, poiché tali funzioni sono lasciate alla flessibilità delle fiere d’arte, alla velocità delle riviste specializzate, alla bulimica frenesia delle temporary galleries e ai loro temporary collectors". Grazie anche a internet si è oggi informati in "tempo reale" e appare sempre più improbabile l'utilità di faraoniche manifestazioni che dovrebbero periodicamente informare sullo "stato dell'arte"; sempre più deus ex machina d'ogni mega-rassegna è il curatore, il cui progetto finisce per relegare  "ad una inconsapevole marginalità il protagonismo dell’artista, per affermare una sempre più confusa e balbuziente centralità critica [...] L’effetto più sconvolgente è la quasi scomparsa dell’opera d’arte, sempre più ridotta a variabile decorativa o, nel migliore dei casi, a utile illustrazione del pensiero critico". Non è più quindi la singolarità dell'opera, il suo potenziale fantastico e perturbante o la sua apertura di senso a stimolare l'interpretazione e nuovi percorsi della mente, all'opposto l'arte -o forse inevitabimente qualsiasi prodotto possa farne le veci- diventa parte accessoria di un apparato discorsivo sorretto da fumose argomentazioni filosofiche e scientifiche (spesso purtroppo pseudofilosofiche e pseudoscientifiche).
E gli artisti? Molti, forse troppi, si adattano nella disperata ricerca di un posto al sole: "Spesso formalmente inconsistenti e linguisticamente sgrammaticate," osserva malinconicamente Eccher "molte opere assorbono, con ingenuità e cinismo, una superficiale aderenza a costruzioni teoriche confuse". Nessuna speranza, dunque, per l'arte contemporanea? Non necessariamente: "L’arte contemporanea" conclude l'articolo "è più viva che mai, non potrebbe essere altrimenti, solo che, forse, non frequenta più certe cerimonie, solo che, forse, non si riconosce più nelle categorie affaticate che hanno retto l’impalcatura del sistema fino a poco tempo fa".