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venerdì 10 agosto 2012

Che fine ha fatto l'opera d'arte?

un'installazione a Documenta 13 - Kassel 2012
Con un elzeviro pubblicato ieri sul Corriere della Sera Danilo Eccher, attuale direttore della Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, stigmatizza il fenomeno della "sparizione dell'opera d'arte", prendendo spunto dall'attuale edizione di Documenta Kassel.  Tali rassegne internazionali,  ormai numerose, di fatto non conservano più il compito originario, ereditato dalle grandi esposizioni di fine ottocento e vitale ancora fino a qualche decennio fa,  "di raccogliere le «novità dell’arte», presentare le sorprese dei nuovi linguaggi, svelare prospettive inattese e stupefacenti, poiché tali funzioni sono lasciate alla flessibilità delle fiere d’arte, alla velocità delle riviste specializzate, alla bulimica frenesia delle temporary galleries e ai loro temporary collectors". Grazie anche a internet si è oggi informati in "tempo reale" e appare sempre più improbabile l'utilità di faraoniche manifestazioni che dovrebbero periodicamente informare sullo "stato dell'arte"; sempre più deus ex machina d'ogni mega-rassegna è il curatore, il cui progetto finisce per relegare  "ad una inconsapevole marginalità il protagonismo dell’artista, per affermare una sempre più confusa e balbuziente centralità critica [...] L’effetto più sconvolgente è la quasi scomparsa dell’opera d’arte, sempre più ridotta a variabile decorativa o, nel migliore dei casi, a utile illustrazione del pensiero critico". Non è più quindi la singolarità dell'opera, il suo potenziale fantastico e perturbante o la sua apertura di senso a stimolare l'interpretazione e nuovi percorsi della mente, all'opposto l'arte -o forse inevitabimente qualsiasi prodotto possa farne le veci- diventa parte accessoria di un apparato discorsivo sorretto da fumose argomentazioni filosofiche e scientifiche (spesso purtroppo pseudofilosofiche e pseudoscientifiche).
E gli artisti? Molti, forse troppi, si adattano nella disperata ricerca di un posto al sole: "Spesso formalmente inconsistenti e linguisticamente sgrammaticate," osserva malinconicamente Eccher "molte opere assorbono, con ingenuità e cinismo, una superficiale aderenza a costruzioni teoriche confuse". Nessuna speranza, dunque, per l'arte contemporanea? Non necessariamente: "L’arte contemporanea" conclude l'articolo "è più viva che mai, non potrebbe essere altrimenti, solo che, forse, non frequenta più certe cerimonie, solo che, forse, non si riconosce più nelle categorie affaticate che hanno retto l’impalcatura del sistema fino a poco tempo fa".





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